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La storia di Cassola

Le origini di Cassola si perdono nel lontano 912 d.C. allorché Sibicone, vescovo di Padova, ottenne da Berengario I in dono la strategica "Val di Solagna", la Pieve di Santa Giustina non lungi dal fiume Brenta ed ottenne inoltre il diritto di erigere castelli difensivi nelle piane circostanti.

Fu in seguito a questa donazione venne innalzata nella campagna una torre di avvistamento simile ad una castello (casa sola) con, al suo interno, una cappella consacrata all'Evangelista Marco.

Il primo documento che attesta l'esistenza di un "castrum"con annesso edificio fu la donazione rogata in Braida (attuale San Vito di Altivole) il 29 aprile 1085 da un gruppo di nobili magnati, antenati degli Ezzelini, a favore del monastero benedettino dei santi Eufemia e Pietro di Villanova, oggi Abbazia Pisani di Villa del Conte (Pd). In particolare, nella parte del documento che ci interessa, si legge

"[...] In villa quae dicitur Casa sola, castrum unum, et cappellam unam infra ipsum castrum constructa [...]".

Queste poche ma preziosissime righe di inchiostro sono il primo documento scritto della storia del paese (cfr foto in: Brotto Agostino, Storia di Cassola, Pastega Ed., Laboratorio Grafico BST, 2008).

ll nome del paese, assecondando la prima citazione del 1085, deriverebbe da una "Casasola" esistente quando la zona era ricoperta da boschi secolari. Negli antichi atti di curia e in quelli notarili del 4-500, invece, si trova spesso la variante "Capsodula", cioè "Cassa piccola". Ma è sicuramente la prima e più antica denominazione che risulta essere predominante nei documenti e che, dopo tutto, venne privilegiata quando si trattò di richiedere uno stemma civico per il Comune. La pratica relativa fu voluta ed avviata, nel 1910, da mons. Pietro Brotto, nativo di Cassola, e trovò coronamento soltanto il 13 ottobre 1927 con la concessione di Vittorio Emanuele III del suddetto stemma.

Cassola , in epoca preromana, fu sicuramente interessata dalla presenza e dal movimento delle genti paleovenete. A nord del suo territorio, infatti, vi era un percorso, la cosiddetta "pista dei veneti" che, scorrendo ai piedi delle Prealpi, al limitare con la grande piana, metteva in contatto i vari insediamenti.
Con la romanizzazione dell' intera regione, diventata sotto Augusto decima regione dell' impero col nome di "Venetia et Histria", il territorio venne interessato dal passaggio di importanti strade consolari.
La via Postumia, in particolare, univa Genova ad Aquileia. Attraversava tutta l'Italia settentrionale, lambendo la campagna bassanese a nord di Cittadella. All' altezza di Onara, sempre a nord di Cittadella, si allacciava una strada secondaria che passava proprio ad ovest della campagna di Cassola e di Fellette, inoltrandosi per Bassano e Solagna.

I continui rinvenimenti di reperti archeologici di epoca romana, che si sono succeduti nel tempo in tali aree, a partire dalla metà del secolo scorso, confermano ulteriormente l'esistenza di questa strada. Monete, anfore fittili, pesi sempre in terracotta, tegole con bollo di fabbrica, sepolcreti e monili vari sono stati trovati casualmente, sia nell'area rosatese che a nord di Cassola, in particolare a Fellette e in zona S. Cuore, dove correvano voci circa l'esistenza di resti di una villa romana, poi occultati e distrutti. D'altronde la romanità di Bassano con il "fundus Bassii", di Angarano con il " fundus Ancaranii", con Rossano con il "fundus Rosii" e di Cartigliano con il "fundus Cartilii" è un fatto ormai accertato ed accettato. Più a nord-est, la campagna cassolese confinava con un altro insediamento romano: il "pagus Misquilensium". Quindi, un corollario di stanziamenti romani che, assieme alla geometrica centuriazione della campagna, ancora leggibile in alcuni punti, ci autorizzano ad immaginare il territorio in questione già abitato in epoca romana imperiale. Il centro abitato della contrada di Marini di Cassola, con il suo stradone rettilineo che porta a Casoni, cade ancor oggi nel punto dove si incontravano il cardine ed il decumano del grati colato romano.

La caduta dell' Impero d'Occidente determinò il tracollo di quanto i romani avevano realizzato, anche in senso viario. Sotto l'incalzare delle varie invasioni, strade e fondi venivano progressivamente abbandonati. La vicina montagna, com'è facilmente immaginabile, costituiva l'unico, sicuro rifugio alle dilaganti orde barbariche. Il passaggio della dominazione longobarda incise profondamente anche nell' agro bassanese, depositandovi usi, costumi, forme d'arte e di artigianato, nonché numerosi toponimi. Sancì, inoltre, l' inglobamento di parte del municipio romano di Padova nel ducato di Treviso. I Longobardi avevano posto un loro insediamento militare a difesa della vallata del Brenta proprio a Solagna, un villaggio che, assieme a Pove, in seguito, si sarebbe diviso e conteso l' usufrutto della campagna cassolese. Con il sopraggiungere della dominazione franca, Bassano e la pertinente campagna rimasero aggregate alla Marca Trevisana ed incardinate ecclesiasticamente alla cattedra vescovi le di Asolo. Tale appartenenza perdurò fino a che Berengario I, re d'Italia, nel 915, ridisegnò giuridicamente ed ecclesiasticamente l'area pedemontana, conferendo al vescovo di Padova Sibicone, prima il controllo di alcune strade pubbliche nella Marca, presso la chiesa di santa Giustina di Solagna, e poi (924) di una vasta area che andava oltre i limiti dell'antico municipio patavino. La campagna di Cassola, così, passava sotto l'influenza di Padova e del suo vescovo. La sua antica appartenenza a Solagna e alla diocesi di Padova ci viene ricordata da alcuni atti notarili deI 4-500, che parlano ancora di una contrada di santa Giustina in quel di Cassola. La generosa donazione dell'imperatore era velata dalla necessità di fronteggiare le incursioni degli Ungheri, che gli avevano inflitto una pesante sconfitta lungo il Brenta, fra Nove e Cartigliano. Concedendo al vescovo di Padova privilegi e diritti sulle terre, implicitamente trasferiva anche il compito di salvaguardarle dalle incursioni, costruendovi fortilizi e castellieri. In breve, a partire dalla prima metà del X secolo, vennero"incastellate" le cappelle di santa Giustina di Solagna, di Pove e di Cassola, fra le altre. Anche la pieve di santa Maria in Colle di Bassano, matrice delle molte chiese sparse nel territorio, venne dotata di un sistema murario difensivo ben più consistente dei semplici recinti sparsi nella campagna.

E di semplice fortificazione doveva trattarsi anche per il castello di Cassola: una cinta muraria con spalti e probabilmente un largo fossato. Nel noto documento di donazione di Ermizia da Camposanpiero al monastero di Villanova nel padovano,del 1085, si trova per la prima volta menzionato il nucleo abitato di Cassola entro la sua fortificazione. Il passo relativo a tale nucleo precisa: "In villa, quae dicitur Casasola, castrum unum et cappella m unam infra ipsum castrum constructam in honorem sancii evangelistae Marci et massaritias octo". Le massarie, con a capo un massaro, erano fondi di circa 30 campi ciascuno. Con questo atto di donazione si può dire che inizi la vera storia del paese: quella cioé documentata. Dalla precedente donazione di Berengario al vescovo di Padova erano passati 170 anni. In quest'arco di tempo, sotto l'incalzare delle invasioni ungare, le poche famiglie che abitavano il territorio cassolese si erano dotate di un sistema difensivo e di un santo protettore: san Marco, il più prestigioso in area veneta. La tradizione locale, forte dei continui rinvenimenti nei campi, colloca l'ubicazione di questo castello in località "Calandrine", un chilometro circa a nord dell'attuale centro.

Dopo il mille, come un pò ovunque, nonostante le lotte intestine fra vescovi, conti, comuni e ricchi feudatari, si verificò un generale ripopolamento delle campagne ed una lenta ripresa economica. La città di Vicenza, sin dall'inizio, aveva mal digerito la cessione di buona parte del resto dei territori della diocesi di Asolo alla città di Padova. Tali territori comprendevano anche Pove e Solagna: villaggi che conserveranno a lungo i territori indivisi, nonchè la campagna di Cassola.Nel 1175, approfittando di una favorevole situazione politico-strategica, Vicenza concludeva un accordo con la città di Bassano, che passava sotto la sua influenza. Gli uomini di Bassano giurarono tutti fedeltà al comune vicentino e fra questi troviamo anche un certo Odelricus de Caxola: segno questo che ormai la contrada aveva una sua precisa fisionomia. Alcuni anni dopo, nel 1189, anche i centri della vallata (Solagna, Pove, San Nazario, Campese) giurarono fedeltà alla città. Cassola, automaticamente, cambiava protettore. Gli Ezzelini, feudatari dei vescovi di Vicenza e di Padova, contrari all'ingerenza vicentina, nel 1196 si impadronivano del Canal del Brenta e di Bassano, vendendoli poi alla città di Padova.

La potente famiglia deteneva numerose proprietà a Bassano, lungo il Brenta, a Pove, a San Nazario e Solagna, in particolare in quella montagna di Collalto che rimarrà a lungo proprietà indivisa con Cassola. In queste contrade gli Ezzelini trovarono sempre uomini fidati, vassalli pronti a condividerne le sorti, sino alla sconfitta di Gassano d'Adda di Ezzelino III il Tiranno (1259) e all'eliminazione dei da Romano (1260). AI crollo del disegno ezzeliniano seguirono anni di continue oscillazioni fra il governo vicentino e quello padovano. Bassano, intanto, andava sempre più estendendo la sua influenza sul territorio e sui villaggi limitrofi. Il 7 gennaio 1312 il podestà di Padova sanciva definitivamente tale primato, in un primo tempo ricusato da alcuni centri ma, in seguito, definitivamente accettato. Anche Cassola, quindi, entrava in quest'orbita. Il secolo XIV, per Bassano e il suo territorio, fu un periodo animato da tensioni e da guerre. Vide l'alternarsi della presenza scaligera, temporaneamente veneziana, carrarese e viscontea. Alla caduta dei Visconti, Bassano, con tutto il suo comprensorio, si consegnò alla Serenissima nel 1404. Da questo momento il bassanese, sotto l'ala protettrice del leone marciano, potè contare su un lungo periodo di relativa tranquillità, che durò sino al 1779, se si escludono le devastazioni operate dalle truppe imperiali di Pippo Spano nel 1413 e le ben più gravi distruzioni perpetrate al tempo della "Lega di Cambrai" (1509-1513). Sarà proprio con l'avviarsi della dominazione veneziana che la campagna di Cassola, in parte disboscata e coltivata, subirà una pacifica e progressiva invasione di nuovi padroni e di nuovi coloni. Si trattò di veri e propri pionieri, capostipiti, come si vedrà, di molte famiglie che ancor oggi sussistono in paese. Naturalmente le aree privilegiate di provenienza di questa emigrazione erano sempre quelle di Pove e di Solagna, seguite da Semonzo e circondario. Nel '400, troviamo che numerosi capifamiglia, soprattutto dei primi due villaggi, lasciavano in eredità a figli e nipoti campi e "casoni" nella campagna di Cassola. Il nucleo famigliare povese che in questo periodo risulta essere numericamente più presente e meglio attestato in zona con proprietà è senz'altro quello degli Albertoni o Alberton, nella sua forma definitiva e più diffusa. Il capo stipite di questo intraprendente clan, Bartolomeo quondam Albertoni de Povedo, lo si trova menzionato in un atto notarile del 1410.

Un Zuanne Albertoni de Povedo, suo discendente, lasciava nel 1480 otto campi a Cassola, confinanti con la terra in comune di Pove e di Solagna. Un altro, un certo Bono Albertoni, sempre di Pove, lasciava nel suo testamento del 1487 tre campi a Cassola. I fratelli Gerardo e Andrea Albertoni, in un atto del 1518, venivano ancora dichiarati di Pove ma abitanti a Cassola. Per molto tempo questa famiglia la si troverà fra le maggiori del paese, con numerosi membri a capo della comunità come sindaci, massari, procuratori e sempre in prima fila quando si tratterà di perorare la causa dell'autonomia sia ecclesiastica che civile di Cassola dai cugini povesi. Altre famiglie particolarmente presenti furono quelle dei Martinelli, originari di Solagna, e quelle povesi dei Bertoncelli e dei Vendramelli che, a loro volta, giunti a Cassola, si dira- meranno nei ceppi dei Battaglia, da un certo Bartolomeo detto Bataya quondam Janeselo de Vendramelli, e dei Chiminazzo, da un certo Olivo quondam Bartolomeo Chiminazio de Vendramelli.

Nella campagna di San Zeno, invece, troviamo ben attestato, attorno al 1480, un Paolo quondam Vittorello, dal quale discenderà la nota famiglia dei Vittorelli, poi cittadini e nobili di Bassano. A queste famiglie si aggiungeranno nel '500 : i Secco di Solagna, i Tolfo, i Marin, gli Alessi con i Visentin e i Cusinato di Rosà, i Sonda provenienti da Sondalo in Valtellina, i Busnardo da Mussolente. Anche il clero e la nobiltà, sia cittadina che veneziana, non tarderanno a mettere piede a Cassola. Già nel 1273, Pietro degli Aldinelli, sacerdote dalla dubbia fama, vendeva dei campi con case nella campagna di Cassola. All'inizio del '500 il monastero di Santa Croce di Campese deteneva ancora numerosi campi, frutto di antiche donazioni. Nel 1507, ad esempio, dava in locazione 40 campi di terra, parte arativa e parte incolta, ai fratelli Vendramelli detti Chiminazzi.

Inoltre, cittadini di Bassano, come i Bonamico, e di Castelfranco, come i Novello e i Brunello, avevano diversi possedimenti. Sarà comunque la nobiltà veneziana a fare ben presto la voce del leone. Già nel 1480, le comunità di Pove e Solagna avevano concesso ben 332 campi a livello ai Capello, patrizi veneziani. Su questo latifondo, che ai tempi di maggior splendore poté contare su circa 1000 campi, sorse all'inizio del '500 l'imponente dimora dei Capello, ora denominata cà Mora, dal nome dei successivi proprietari.

Il Memo, altra famiglia del patriziato venezianq, faranno la loro comparsa -attorno alla fine del '400,andandosi ad insediarein contrata sancii Zeni, nella campagna di Cassola, dove avranno dimora stabile in quel maniero denominato un pò impropriamente "Cà Mema'; che, ancor oggi, conserva nella facciata lo stemma nobiliare. Sin dall'inizio, i Memo si faranno carico delle mire autonomistiche degli abitanti di Cassola, ospitando spesso nella loro casa raduni di capi famiglia, già in attrito,a partire dal febbraio 1515 con il comune di Pove e dal settembre 1539 con i parroci Testa e Bovini, per l'annosa questione del quartese che volevano ancora imporre.
L'inizio della costruzione della nuova chiesa di san Marco, ubicata più a nord dell'attuale, coincise proprio con lo scoppiare di questo attrito che, anzi, si può considerare una sua diretta emanazione. Anche le magre entrate del quartese potevano contribuire all'erezione della nuova chiesa e al mantenimento di un sacerdote stabile. L'edificio verrà consacrato dal vescovo suffraganeo di Padova, Vielmo, l''8 ottobre 1556.

Il 26 agosto dello stesso anno, di domenica, in contrata Capsollae agri bassa-nensis in tempIo divi Marci i capifamiglia nominavano loro procuratore Giovanni Maria Alberton perchè questi si recasse a Padova dal vescovo per caldeggiare la consacrazione della nuova chiesa. La questione del quartese si protrarrà, nella prima fase, per quasi 50 anni, fra proteste e ricorsi vari, finchè il16 ottobre 1587, il Vicario generale di Padova, recatosi appositamente a Cassola, decreterà la separazione ufficiale della due chiese constatata la distanza che le separava. A titolo di indennizzo, alla chiesa di Pove venne riconosciuto un contributo annuo di 25 ducati, pagabili dalla novella parrocchia.

Entrambe le parti rimasero scontente e continuarono a suon di procure e ricorsi, sino a che il cardinale Carlo Rezzonico, presente a Cassola per la visita pastorale, non pose fine alla questione. Era il 3 agosto dell'anno 1745. Dopo aver portato a compimento la nuova chiesa, collocata con l'abside rivolta ad oriente come voleva l'antica tradizione, i cassolesi pensarono alla pala che doveva coronare l'unico altare. Non ebbero esitazioni nel commissionare l'opera al vicino, grande Jacopo dal Ponte, che già alcuni decenni prima era stato chiamato dai loro cugini povesi per la pala di san Vigilio. Sembra comunque che, a parte lo spirito campanilistico di competizione dei cassolesi, i Dal Ponte avessero già una certa familiarità con il luogo. In atti notarili riguardanti la famiglia si trovano menzionati abitanti di Cassola.Ad esempio, in un atto dotaledel1532, stilato in casa di Francesco il vecchio e con la presenza del giovane Jacopo, compaiono come futuri sposi Pietro Martinelli di Cassola e Giovanna de Vo/to/ina abitante a Cassola.

Dopo aver conseguito l'autonomia religiosa i cassolesi puntarono sicuri verso la separazione civile dal comune di Pove. Dovettero prima aspettare che venissero divisi i beni in comune di Pove-Cassola e di Solagna: le montagne di Collalto, di Campo di Roa e dell'Asolon. Avvenuta questa sofferta divisione nel 1667, con l'atto Ronzani, la strada per la definitiva separazione dai cugini povesi era ormai aperta. A Pove e Casssola veniva assegnata la montagna dell'Asolon e una parte di quella di Collalto.

Si deve, a questo punto, accennare anche alla cosiddetta sentenza Vai mori del 1678, con l'appendice del 1679 volta a definire la questione delle parti dei "roversi" di montagna ancora in sospeso, nonchè le quote del pascolo dell'erbatico, che tanto influirono sugli sviluppi futuri. A cinque anni dalla sentenza Valmori si giunse in forma pacata alla divisione fra Pove e Cassola.

Il 20 maggio 1684 venne redatto l'atto di separazione dei beni in comune. Ma la storia non finiva lì. Già nel 1696 si ricorreva nuovamente a dei legali per la definizione dei confini, quanto mai nebulosi, "del li roversi di Campo San Martin". Solo nel 1870 si arrivò ad una precisa delimitazione dei confini, seguita come sempre da ricorsi ed arbitrati vari. Nel 1907, il già citato mons. Pietro Brotto, all'epoca consigliere comunale, per chiudere definitivamente la questione e sentendo che era doveroso ritrarre dai beni comunali il maggior utile possibile crescendo continuamente i bisogni, studiò l'intera vicenda, raccogliendo tutta la documentazione possibile dagli archivi del Comune e presso l'Archivio di Stato di Venezia.

Interpellò eminenti giureconsulti per avere lumi: il seno Lampertico, il seno Stoppato, recandosi infine a Bologna dal prof. Giacomo Venetian, primo civilista d'Italia, il quale dette parere favorevole per intraprendere un'azione legale. Sopraggiunsero, poi, la morte del prof. Venetian, la grande guerra e la morte dello stesso monsignore. Un suo discepolo l'avv. Liscara, ereditatone gli incartamenti, pose fine alla secolare vertenza con la vittoria del comune di Cassola. Nel 1946 l'Amministrazione comunale meditava di vendere i pascoli dell' Asolon per costruire, con il ricavato, le abitazioni del segretario, del medico e della levatrice. Le cose non ebbero seguito e oggi il comune è ancora proprietario dei detti beni in comune di S. Nazario.

Anche la contrada di San leno, nel frattempo, aveva incominciato a reclamare il riconoscimento della sua identità. Già dall'inizio del '400 esisteva in questa contrada un piccolo edificio sacro con un suo rettore. Nel secolo successivo continuarono ad alternarsi sacerdoti non residenti. Finalmente, il vescovo di Vicenza Dolfin esaudì le richieste degli abitanti separando la chiesetta campestre dalla pieve di Bassano ed erigendo la in parrocchia il 19 aprile161 O. I Borromeo di Padova, proprietari in zona, mantennero per lungo tempo, in questa chiesa,un altare in onore del loro avo san Carlo. Il quartiere san Zeno di Rosà, posto però nella campagna di Cassola, nel 1853 venne definitivamente aggregato al comune di Cassola. Le due comunità, nel corso del '600, pur mortificate da continue carestie, dalla peste del 1630-31 e da una diffusa povertà, mantennero sempre vivo lo spirito campanilistico e,quel che più conta, la loro identità di paese.

Alle soglie del '700 l'aspetto della campagna di cassola era notevolmente mutato. Quasi tutto il terreno era stato messo a coltura: scomparsi i grandi boschi con i secolari castagni e così pure le terre "vacue" ed i "casoni" coperti di legno e di paglia. L'allevamento ovino, prima diffusissimo, si stava riducendo, mentre notevole diffusione avevano ancora l'allevamento bovino e del baco da seta. La povertà, però, era sempre dietro l'angolo e molti piccoli proprietari, discendenti degli antichi pionieri, in questo periodo si trasformarono in fittavoli a mezzadria, vendendo i loro poderi ai cittadini di Bassano. Intanto i cassolesi, aumentati notevolmente di numero, avevano incominciato a pensare a una nuova e più grande chiesa.

Venne incominciata sotto l'intraprendente parroco don Francesco Sarri di Quero. Concepita in forme classicistiche , con cinque altari marmorei dalla forma ancora barocca, la nuova chiesa doveva completare quel preciso disegno autonomistico che si era abbozzato circa duecento anni prima. Venne terminata nel 1776, dopo circa un ventennio di lavori e di sacrifici, un pò di tutti. Il frate architetto Alessio Cusinato , nativo di san leno, fornì i disegni e diresse i lavori, sia della chiesa che del campanile dalla caratteristica pigna barocca.

Attorno al sagrato, com' era consuetudine, venne approntato il cimitero (1750), in uso sino al 1851, anno in cui venne trasferito, in ottemperanza alle disposizioni sanitarie, sulla strada di Marini. I grandi e piccoli avvenimenti religiosi continuarono a svolgersi all'interno della chiesa,mentre le assemblee dei capi famiglia, per le decisioni comunali, si svolgevano generalmente di domenica nel sagrato o in canonica. Soltanto nel 1863 venne completato il palazzetto comunale che, però, scomparve con la costruzione dell'attuale sede. Per la sua vicinanza a Bassano , Cassola visse sempre in simultaneità le reazioni ai grandi avvenimenti storici: dalla caduta della Repubblica Veneta, all'epopea napoleonica, alla dominazione austriaca con le relative guerre risorgimentali, sino all'annessione al regno d'Italia. I cambiamenti però non furono repentini.

La popolazione rurale, che aveva vissuto con una certa apatia il passaggio dagli Asburgo ai Savoia ( i nuovi padroni), continuò ad avere i ritmi patriarcali e le incombenze di sempre. Di nuovo, l'unificazione aveva portato, sin dall'inizio degli anni settanta, l'istruzione elementare comunale con l'apertura della Scuola rurale maschile di grado inferiore e poi di quella femminile. Allestita in locali del comune e della parrocchia, nel 1912 trovò sistemazione decorosa in un nuovo edificio, inaugurato con grande concorso di popolo.Il territorio del comune, quasi contempo- raneamente all'introduzione dell'istruzione obbligatoria, era stato interessato dal tratto ferroviario di Padova-Bassano (1876) e poi da quello di Venezia-Bassano (1906).

La successiva realizzazione della stazione ferroviaria (1910), con relative fermate, avrebbe gettato un ponte con ambienti totalmente estranei al piccolo paese della "Casasola", che così rompeva il suo atavico isolamento. Nonostante questo isolamento a Cassola ebbero i natali alcuni personaggi di rilievo: il già ricordato Alessio Cusinato (1681-1768) frate minore riformato, architetto; Antonio Sonda (1771-1831) scrittore ed incisore; beata Gaetana Sterni (1827- 1889), fondatrice delle suore della Divina Volontà; Mons. Pietro Brotto (1841-1921) grecista e latinista; Mons. Giovanni Augusto Brotto (1881-1945) storico dell'Università e della Diocesi di Padova.

 
 
 
 

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